Tratto da La base segreta sul Colle del Melogno di Massimiliano Siccardi Rinta_157, 2013
"La zona dove ci troviamo, la cima di **** *********, è da immemore tempo occupata da militari ed installazioni militari (...)
Verso la fine dell'Ottocento, iniziarono i lavori per la costruzione del complesso fortificato del colle che prevedeva anche la realizzazione dell'"Ufficio del Genio"; (...) i ruderi, li puoi vedere sul versante basso della strada che dal passo inizia a scendere verso Calizzano.
Oltre al Centrale, il Tortagna, la postazione Merizzo e, appunto, il *********, venne pienamente sfruttata la cima del monte: vedi ad esempio, dall'ingresso del Forte, inizia una stradina che scende verso una grande radura, per circa 150-200 metri, quella che abbiamo visto prima (...)
Qui venne terminato, un deposito scavato ai piedi della montagna, comprensivo di vani per il confezionamento e deposito di proiettili e cartocci vari, per "servire" diverse postazioni secondarie di Artiglieria, poste sul crinale di quella radura; diciamo una specie di polveriera, al sicuro, lontana dalla zona operativa... anche all'epoca (...)
All'ingresso, c'era una porta in acciaio da tempo divelta (...) è quella che hai visto per terra sepolta dai rovi, vicino alla galleria d'ingresso di questo enorme "magazzino"; oggi, è murato alla meglio ma da qualche anno "qualcuno" vi ha fatto breccia, non sappiamo, mah! (...)
Successivamente negli anni 50', si pensò di realizzare un enorme Radar, sfruttando al massimo la strategica posizione del colle, ma soprattutto, le antiche costruzioni presenti li, dal progetto originario.
E allora, vennero costruiti i "funghi" d'accesso con i pozzi discesa ai cunicoli (...)
Nel quadro di questo nuovo impianto, vennero ampliati e rinforzati con gettate in tavole di calcestruzzo; vennero realizzati nuovi percorsi; avete visto? uno dei due "ingressi a fungo", aveva solo funzione di presa d'aria; è finto ( ...)
Però, così come venne pensato, il radar non fu mai realizzato: vuoi per la tecnologia già presente nel ********* (comunque sufficiente per l'epoca), vuoi per la "nascita" operativa di Pian dei Corsi.
Tutto rimase lì, utilizzato come piccolo deposito: (...) mi ricordo però che era scomodo: bosco, neve, fango... era un problema... col tempo, non si usava neanche più; poi sai: diventando solo un importante "punto di controllo", non c'era tanto da stivare.
La base americana (Pian dei Corsi n.d.a.): Camion? Elicotteri? Missili? I dubbi sono facilmente spiegabili: la base era interamente servita e rifornita dall'elicottero che partiva dalla nave in rada fuori Finale (quando veniva), ed atterravano nella pista ancor oggi presente e utilizzabile (...)
I camion, non facevano altro che portare i rifornimenti al personale americano sul ********* (fino a poco tempo fa, il ********* era fisicamente diviso in due da una vetrata: da una parte la nostra AM, dall'altra i militari americani).
Missili? Installarli in Liguria per colpire l'allora nemico, cioè qualche paese dell'Est? E quanta strada gli dovevi far fare per arrivare là? Era meglio installarli in Friuli o Trentino no? (e infatti c'erano...) (...)
Usarli per difendersi? Da cosa? Attacchi aerei fino in Liguria? Cosa avevamo di "strategico" per quel nemico? Attacchi dal mare? Dal nostro mare presidiato allora da americani e francesi? Difficile...
Piuttosto sai (...) lì alla Base... si ci andavamo a volte però (...) guarda lasciamo stare, tanto è tutto finito, tutto abbandonato...
Era operativa... un motivo c'era, ma tanto dai (...)
Adesso devo tornare indietro, comunque se ci rivediamo mi fa piacere ok? ... ciao, ciao."
Si, ciao, quando ci rivediamo, mi farà piacere.
Questo Ufficiale, da poco tempo, non è più tra noi.
Walter Orsi (trascrizione da intervista)
In un ambiente come questo bosco l'uomo aveva e ha sicuramente la sua funzione. Innanzitutto quella di mantenere le piante in efficienza, quindi di potarle, di curarle, ma poi anche di mantenere degli spazi abbastanza ampi, come si vede in questa radura.
Ora stiamo percorrendo quella che qualche secolo fa era propriamente una mulattiera, si vede ancora qualche traccia di una sorta di selciato. La stessa poi proseguiva e arrivava alle cascine poste più in alto, fino ai limiti della faggeta, per arrivare poi al monte Settepani, alla Rocca dei Francesi e a tutta quella corona di montagne alte tra i 1200 e quasi 1400 metri, non pochi se si considera che siamo a poca distanza in linea d'aria dal mare.
Ogni tanto mi capita di pensare a quanta gente dovesse esserci nello stesso luogo in cui ci troviamo. Ora ci siamo noi e nessun altro, ma probabilmente nella stessa situazione, nello stesso giorno dell'anno, dieci, venti, cinquanta, cento anni fa, potevano esserci cinquanta, settanta persone intente alla cura dei castagneto e alla vita dei campi, a procurarsi quello di cui avevano bisogno per vivere.
È sorprendente pensarlo oggi, quando si viene qui e si trova un silenzio a volte quasi spettrale. Mi immagino un tempo il vociare delle persone, il rumore dei carri, qualcuno che imprecava perché gli era successo qualcosa, era caduto o un animale aveva mangiato qualcosa che non doveva. Ogni tanto mi ritrovo immerso in questo tipo di pensieri.
Queste zone sono state pienamente popolate fino agli anni Trenta, Quaranta del Novecento.
La Seconda guerra mondiale ha portato con sé grandissime difficoltà. Poi lo sviluppo industriale ha drenato tutte le risorse, spostando gli interessi delle persone che qui vivevano in zone completamente diverse. A una ventina di chilometri si trovano aree tra le più significative dello sviluppo di quegli anni, tanto per fare un nome, che si collega anche a tante altre cose, l'ACNA, che ha assorbito tantissime di queste persone.
Quelli che erano agricoltori sono diventati operai, tubisti, periti chimici, geometri ecc..
È quindi venuta meno la funzione fondamentale di queste zone, essere innanzitutto una fonte di reddito, per quello che poteva essere il reddito di quegli anni: piano piano i territori sono stati abbandonati, con un andamento graduale ma costante.
Le strutture come questa che si vede nel bosco venivano dette capanni o capannoni ed erano spesso appoggiate a un albero, che faceva da elemento portante. Con il legno di castagno veniva realizzata una struttura minimale, con una semplice orditura del tetto, e qui venivano ricoverati il fieno, il fogliame: erano strutture di servizio, come dei piccoli capannoni, o per lo meno avevano la stessa funzione.
Con il fenomeno intenso dell'urbanizzazione anche lo stile di vita è cambiato. La vita povera e dura di prima è stata percepita in modo anche molto negativo. Nel frattempo aumentavano le possibilità, il reddito, arrivavano i primi elettrodomestici. Questo mondo costruito in centinaia se non migliaia di anni è diventato quasi anacronistico nel giro di un ventennio, è entrato a fare parte inevitabilmente della memoria dei vecchi, dei padri, con cambiamenti per loro non semplici da gestire. Tutto quello che vediamo richiedeva una cura quotidiana e tante braccia: ma anche queste esigenze piano piano sono venute meno.
Io sono figlio di quella generazione che ha abbandonato questi luoghi, che è rimasta qui e abita qui, ma ha lavorato all'esterno, nell'industria. Che quindi non ha vissuto questi territori come una fonte di reddito, ma come qualcosa in più che si è cercato di mantenere in modo efficiente finché sono stati vivi i vecchi, poi piano piano si è arrivati a questi esiti.
Quella generazione oggi vive queste cose con rimpianto, come ricordi della propria infanzia e giovinezza, come un mondo in cui si viveva con altri ritmi. Sono ancora testimoni di un modo di vivere completamente diverso da quello contemporaneo. Qui la vita era scandita dall'orologio biologico naturale: quando andava via la luce, la vita cessava. Magari iniziava alle 4 del mattino e terminava alle 6 o alle 7 di sera, poi c'erano piacevoli appendici, c'era l'abitudine delle veglie. Le persone parlano con malinconia di queste cose, quasi a volerle evocare, e sperano che, magari tra qualche anno, possano anche tornare.
I testimoni più autentici di tale passato hanno più di 90 anni, ci stanno lasciando tutti. Gli sprazzi, i lembi della vita di una volta testimoniano come potevano essere questi luoghi un tempo. In un centinaio di anni il paesaggio è cambiato, ha perso una delle sue tessere fondamentali: l'uomo, l'azione dell'uomo.
Posizioni, percorsi e indicazioni