L'associazione Valle Bormida Pulita nacque nel 1987 con l'obiettivo di combattere l'ormai secolare inquinamento del territorio causato dallo stabilimento dell'ACNA (Azienda Coloranti Nazionali e Affini) di Cengio, costruito originariamente come dinamitificio nel 1882.
La protesta degli abitanti, che ha molti precedenti durante la lunga storia della fabbrica, si riaccese in quegli anni a causa dell'insostenibile degrado ambientale.
L'associazione si assunse da subito il compito di coordinare la mobilitazione dell'intera valle per la chiusura dello stabilimento e per la rinascita sociale, economica e ambientale della valle. Durante gli anni della lotta, riuscì a riunire una comunità sempre più ampia e propositiva, che discuteva settimanalmente di nuove iniziative, organizzava le manifestazioni, gestiva un sistema di informazione capillare basato sul passaparola e sulla distribuzione di materiali autoprodotti, tra cui il giornale “Valle Bormida Pulita”, diretto da Renzo Fontana.
Dopo la chiusura della fabbrica, nel 1999, l'associazione ha seguito come soggetto attivo le vicende legate alla bonifica e oggi custodisce la memoria della prima lotta ambientalista italiana, grazie allo straordinario archivio di documenti e fotografie.
Marina Garbarino, Mario Cauda. Associazione Valle Bormida Pulita (trascrizione da intervista)
1.
La nostra strada, relativa alla vicenda per cui esistiamo come associazione, è questa: siamo a Cortemilia, la strada di Bergolo è in alto, poi ci sono Torre Bormida, Levice, Gorzegno, Prunetto, Monesiglio, Camerana, Saliceto e qui, tra Saliceto e Cengio, hanno costruito un dinamitificio.
Cortemilia è stato uno dei luoghi più importanti per la lotta all'ACNA, perché si trovava in una posizione intermedia per chi veniva sia dall'Alessandrino, sia dal Savonese. Gorzegno è un altro paese importante perché uno dei leader dell'associazione, e fondatore del giornale di Valle Bormida Pulita, Renzo Fontana, è nato in questo paese.
Di Saliceto era invece una delle prime attiviste, “Rosanna del mulino”: mulino che hanno dovuto chiudere perché si corrodevano le macine. E poi sempre a Saliceto c'è il Bar Smile, all'uscita del paese, gestito da Armando Balbo con sua moglie, che ci hanno aiutato tantissimo: quando facevamo il presidio si veniva a piedi o con una macchina fino a Saliceto e quello era il primo posto dove si poteva telefonare, perché noi cellulari non ne avevamo.
Che fosse notte o giorno, anche se era chiuso, scendevano, aprivano e ti rifornivano di qualsiasi cosa.
Un altro posto che ricordiamo è proprio qui a Cengio, a monte della fabbrica. C'era la signora Giongo, una vedova, che viveva da sola e aveva una casetta. Ci ha fatto capire che approvava le nostre lotte perché lei lì ci abitava e sapeva quali schifezze facevano. E allora di notte, se c'era qualche emergenza, si attraversava Bormida dal presidio, cercando di non farsi vedere, e si andava a casa sua per le comunicazioni più importanti o anche se qualcuno non si era sentito bene.
2.
A Pian Rocchetta, nel punto dove si dividono Liguria e Piemonte, c'era la strada che portava in zona demaniale, sotto i muraglioni della fabbrica vicino al fiume. Anche Pian Rocchetta è un posto importante, perché le nostre lotte sono sempre arrivate fino a qui: qui siamo stati picchiati, qui abbiamo fatto un presidio dove si stava giorno e notte, qui abbiamo visto cose indicibili. Questo è sempre stato il maggiore punto di barriera.
La strada passa tra collina di arenaria - muraglione - scarpata - muraglione - fiume e tu non hai altri posti in cui passare. Perché non c'è nient'altro. Quando voi da Saliceto andate verso Cengio, vedete che c'è una piana che a un certo punto si stringe, fino a diventare un imbuto.
La strada è incassata tra la collina sulla destra e uno spuntone di roccia sulla sinistra. Lì c'è una stradina che scende giù verso il fiume e lì è dove la polizia faceva barriera.
Non puoi passare perché o ti arrampichi in mezzo ai boschi, o scendi in mezzo ai rovi, o vai sul greto del fiume: lì non ci sono sentieri e allora devi aspettare che ti lascino andare oltre.
3.
Questa (mostra delle fotografie) è la prima manifestazione che abbiamo fatto. Allora non esisteva ancora l'associazione Valle Bormida Pulita, eravamo solo cittadini che credevano che lì ci fosse qualcosa che non andava.
Qui si erano organizzati per fermarci a Pian Rocchetta (mostra una fotografia con la polizia in assetto anti-sommossa). Quando arrivavamo a Pian Rocchetta, questo era quanto trovavamo. C'erano questi e qui c'eravamo noi (mostra una foto di manifestanti). Una sera arrivano corpi speciali della Polizia e della Digos che non conoscevamo, assolutamente non della zona. A una certa ora di solito ci davamo il cambio al presidio, ma un giorno abbiamo trovato tutto bloccato. Quelli che erano in basso non potevano salire e chi era in alto non poteva andare giù, così sono cominciate le discussioni, fino a quando abbiamo sentito delle urla dal basso. Qualcuno era riuscito a passare e tramite una scarpata ci aveva raggiunto avvertendo: “Guardate che ci attaccano”. Sopra il muraglione gli operai della fabbrica urlavano ai poliziotti. Su un ponticello che andava alla frazione Brignoletto, di fronte a Pian Rocchetta, non sappiamo se operai o cengesi, se vedevano passare qualcuno sulla riva del fiume, tiravano sassi.
4.
Da Bistagno, Monastero, Bubbio, Sessame, Cessole, Vesime, Cortemilia sono partiti con i trattori, con le macchine, anziani e giovani. Arrivati lì, soprattutto gli uomini giovani cercavano di andare in avanti, così ci siamo ritrovati tra i carabinieri che venivano da Cuneo e la polizia schierata. A un certo punto abbiamo sentito tre spari e loro hanno dato la carica e picchiato. Esattamente come negli ultimi anni è successo in molti altri posti, dove la gente viene picchiata. Non riesci a capire perché.. eravamo giovani, vecchi, nessuno era armato, nessuno aveva intenzioni bellicose. Non c'era nessun motivo.
(…) Perché quando devi scegliere tra andartene o restare e morire, a quel punto quelle sono le difficoltà: puoi perdere tutto oppure morire, non hai più scelta e ti metti in marcia.
(...) A me piace guardarlo, il fiume.
Intervista a Roberto Molinaro, sindaco di Cosseria
di Marina Paglieri
Cosseria, comune dell'entroterra savonese, conta 1120 abitanti ed è sparso in 28 frazioni. Punto di riferimento per chi arriva da fuori è un castello che un tempo dominava il paese a 700 metri di altezza, mentre oggi non restano che ruderi: conservano la memoria della battaglia combattuta il 13 e 14 aprile 1796 durante la campagna d'Italia di Napoleone. Durante l'assedio perse la vita Filippo Del Carretto, al comando di 500 piemontesi costretti a fronteggiare forze impari.
Una chiesa parrocchiale sospesa su uno dei calanchi più meridionali delle Langhe, con un prezioso rosone del ‘400 in arenaria in facciata e notevoli affreschi cinquecenteschi in sacrestia, un museo della bicicletta, bei paesaggi – è la zona più boscosa d'Italia, vanto di una Liguria senza il mare - ed eventi gastronomici in cui fanno capolino anche i tartufi: non mancano le suggestioni per un turismo su cui si vorrebbe puntare, ma che stenta ad affermarsi. Ne parliamo con Roberto Molinaro, sindaco di Cosseria dal 2014, rappresentante nell'Anci dei piccoli comuni della Valle Bormida.
Sindaco, che cosa rappresenta il castello per Cosseria?
"Ricorda una battaglia leggendaria, con Napoleone che arrivava da Loano per tagliare in due la difesa austriaca, passando attraverso il basso Piemonte: i francesi ebbero certo la meglio, ma si favoleggia che avessero perso 2700 uomini, mentre i piemontesi contarono ‘solo' 150 caduti, tra cui il comandante Del Carretto, della famiglia dei nobili Aleramici. I difensori, chiusi all'interno di un castello la cui distruzione era iniziata già nel ‘500, per mano di un signore dell'epoca - il resto lo fecero i bombardamenti napoleonici - terminate le munizioni tirarono le pietre. Ma con la morte del comandante, si arresero. Dopo la sconfitta si firmò la pace di Carcare: le condizioni dettate dal Bonaparte portarono nella valle una ventata di libertà, segnando la fine del regime quasi feudale che ancora vigeva"
Gli abitanti si sentono partecipi di queste memorie?
"Sì, anche se un tempo ne avevano paura, per via del fantasma di Filippo Del Carretto, che dicevano si aggirasse dalle parti del castello. La precedente amministrazione aveva ottenuto nel 2012-2013 un finanziamento europeo per restaurarne in modo parziale i ruderi, disposti all'interno di un'ampia cinta muraria. Gli abitanti partecipano alle vicende del castello se ci sono manifestazioni. Piacciono le rievocazioni storiche, però non ne sono state più fatte. L'ultima risale al 1996, per i 200 anni della battaglia, quando arrivarono a Cosseria centinaia di figuranti di associazioni francesi e italiane, con cannoni e armi d'epoca: spararono davvero, non per finta, ricostruendo tre ondate di attacco. Ma più che i fatti napoleonici interessano in realtà quelli meno remoti, legati per esempio alla Resistenza. Per il 25 aprile ogni anno scegliamo un tema, nel 2016 si è optato per il ruolo delle donne durante la guerra: si sa che hanno fatto la loro parte, ma poi non le hanno nemmeno lasciate sfilare durante la Liberazione. A dire il vero se parli con gli anziani capisci che non ricordano con favore quegli anni, dicono che i partigiani rubavano loro il poco che avevano, magari il latte. Ma c'è un'altra vicenda che si ricorda di quel periodo".
Quale?
"All'inizio del ‘900 una famiglia genovese, i Musso Piantelli, si fece costruire al confine tra Cosseria e Carcare un castello liberty, circondato da un'enorme tenuta agricola, sperando di ottenere così un titolo nobiliare che poi non è arrivato: durante la seconda guerra mondiale quel castello, tuttora ben conservato, fu sequestrato dai tedeschi, che ne fecero un deposito di armi. Sono ricordi che tramandano gli anziani. Ma lei lo sa che qui, su 1120 persone, 200 hanno più di 70 anni, 60 più di 80, 15 più di 90? Vado spesso a trovare le persone avanti negli anni, lo faccio volentieri perché vedo che a loro fa piacere, hanno grande rispetto per la figura del sindaco".
E i giovani?
"Intanto c'è un dato positivo: la scuola nel centro del paese, che sembra fatta con il Lego, ha aumentato il numero dei bambini iscritti, che da 38 sono diventati 125. Diversi arrivano dagli altri comuni, i genitori li iscrivono perché attratti da una struttura che funziona bene ed è pure bella. Quest'anno abbaiamo aperto anche l'asilo nido. Poi per il resto ci sono tante associazioni sportive, dal calcio, alla pallacanestro, al volley, al ciclismo, una sorta di antidoto alle piaghe del territorio, come la droga. I giovani tendono però ad andare via, per la crisi nera del lavoro. Dopo che è venuto a mancare il tessuto industriale, qui si è creato un vuoto: non c'è a questo proposito una strategia nazionale, né una politica di incentivi, inoltre diminuiscono i servizi. Qui non c'è il problema dei profughi: in valle ne arrivano 15 o 20 per comune, a Cosseria non ce n'è nemmeno uno. Ma abbiamo aperto una sezione della Caritas e aiutiamo sei famiglie in difficoltà".
Che cosa fanno gli abitanti di Cosseria?
"Una volta c'erano le fabbriche chimiche: dall'Acna di Cengio, in origine un dinamitificio, che negli anni buoni produceva il 60% delle armi sul territorio nazionale, poi divenuta industria di coloranti, con tutto quello che purtroppo sappiamo sul dramma dell'inquinamento ambientale, all'Agrimont e alla Cokitalia di Cairo, aziende che hanno subito una crisi tuttora in corso, come dimostra il rischio di chiusura della Tirreno Power di Vado Ligure.
Senza dimenticare la Ferrania, che un tempo era considerata la Fiat della Valle Bormida, mentre ora ha solo più 100 dipendenti, da 5mila che erano. L'Acna ha chiuso nel 1999, ma prima ancora, alla fine degli anni '80, aveva abbassato le serrande l'ospedale di Millesimo: così se da queste parti qualcuno sta male deve andare a Savona, che non è proprio girato l'angolo. Che cosa si fa adesso? Ci si indirizza verso il turismo, si apre un bed & breakfast, che può avere un certo successo in questa valle piena di boschi, ideale per le escursioni. Restano l'allevamento e alcune fabbriche, per esempio quelle degli infissi e delle porte blindate. Qui a Cosséria è anche attiva una tipografia, la Fratelli Spirito di Savona".
Che cosa cercano i turisti da queste parti?
"Prevale un turismo naturalistico, soprattutto il trekking. Ma piace anche la catena dei musei, che tra il vetro di Altare e le nostre biciclette ha raggiunto nel 2015 10mila presenze. Mancano però le strutture turistiche per l'accoglienza, non c'è un info point. Bisognerebbe offrire un pacchetto di iniziative, organizzarsi, tanto più ora che soffriamo davvero per i problemi dell'occupazione. C'è la richiesta di definire il Savonese area di crisi industriale, come è accaduto a Piombino".
In che modo e da dove arrivano qui le persone?
"Ci sono le agenzie e i tour operator, ma manca una strategia. Vuole un esempio? Il santuario della Madonna del Deserto di Millesimo è meta di numerosi pellegrini, che vi approdano in particolare a settembre, e di gruppi organizzati che partono per esempio da Alba: ma quando arrivano non trovano un'accoglienza adeguata, né attrazioni turistiche, così tutto finisce lì. Anche i musei dell'area, nonostante i tentativi di creare una rete, sono un po' lasciati a sé stessi. Quando ha chiuso l‘Acna lo Ial, una scuola professionale di Carcare, ha ottenuto un finanziamento europeo di 180 milioni di lire per creare un corso per guide naturalistiche, si erano collegati inoltre sentieri per 120 km, in 5 aree protette. Ma quei materiali si sono persi e mancano tuttora le mappe. Nel'91 era nata “Bormida Natura”, che metteva insieme i comuni della parte ligure. Ora ci sono i Sentieri Carretteschi, che ripercorrono in 140 km i domini dei Del Carretto, da Finale a Santo Stefano Belbo: ci siamo dentro anche noi, la nostra, in fase di realizzazione, è la terza tappa. Lo sanno gli olandesi, che arrivano in una sola giornata dal loro paese con le bici al seguito, ma qui non lo sa nessuno. Agli europei del nord piace la natura “selvaggia”. Qui trovano la faggeta di Osiglia, le grotte di Bardineto, il bird-watching di Rocca Vignale: ma poi c'è il problema della lingua, la gente del posto non sa l'inglese".
Il turismo, alla fine, può essere una risorsa?
"Gli spunti non mancano, dalle sagre con i piatti tipici, ai concerti: a Cosseria nel 2013 e nel 2014 sono persino venuti a suonare due ex Iron Maiden. Abbiamo fatto i parcheggi e vorremmo riuscire a fare partire da qui il Giro d'Italia, per questo però si devono pagare 50mila euro. Insomma, deve arrivare tanta gente che riscopra questa Valle Bormida, che sta in Liguria senza il mare ed è un po' a sé stante. Le risorse ci sono, bisogna organizzarsi".
Da soli o in rete?
"Guardi, da soli non si va da nessuna parte. Si sta cercando di creare una strategia comune per i musei: abbiamo realizzato una brochure che li comprende tutti, si può anche fare un “museo tour” in bicicletta. I turisti ci sono: ma bisogna gestirli in modo adeguato. Ci arriveremo, possibilmente con un'accoglienza “non ligure”, se mi passa la battuta, ma con il sorriso. Se vedo delle persone ferme a una rotonda mi avvicino con un dépliant in mano: dopo quella napoleonica, è questa la battaglia contemporanea".
Le piace fare il sindaco?
"Da un lato molto, per il rapporto con la popolazione. Dall'altro è faticoso, per le ristrettezze economiche, che rendono tutto difficile. Sono alla prima esperienza amministrativa, vengo dal mondo del turismo, dove lavoravo prima. C'è da parte mia un grosso impegno, anche per vincere le resistenze di chi è restio a unire le forze: si deve fare capire che il turismo, se si vuole che diventi una risorsa, bisogna gestirlo".
Posizioni, percorsi e indicazioni