Intervista a Sergio Arditi e Giampiero Cassero
Di Marina Paglieri
Una serie di preziosi reliquiari lignei del ‘700 rinvenuti in chiesa, in un armadio a muro. Un affresco del 1532, scoperto durante i restauri della sacrestia, con la Vergine tra San Matteo e San Bonaventura e un committente, attribuito a Luchino Ferrari di Castellazzo Bormida. E undici tele di Apostoli, ancora di pittore piemontese, emerse da un ripostiglio in Comune. E' scandito da una serie di ritrovamenti il percorso del Museo di Arte Sacra di Cassine, inaugurato nel 2011 negli spazi dell'antico convento di San Francesco. L'ultimo riguarda la pala seicentesca "Natività di San Giovanni Battista", attribuita al pittore milanese Giuseppe Leva, che era stata rubata in chiesa con altre sette tele nella notte tra il 4 e il 5 agosto del 1997. Ora, grazie all'intervento dei carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Venezia, è tornata nella sede originaria, quella cappella di San Giovanni nel frattempo restaurata, in cui è stata ricollocata a luglio.
"Per questa operazione abbiamo ricevuto il primo premio 'Dopo l'Unesco, Agisco!'" dice con fierezza il vicesindaco e assessore alla cultura Sergio Arditi. Che mostra gli altri tesori del complesso, tra la sala capitolare, che conserva un ciclo di affreschi del XIV secolo, ma anche la tiara reliquiario di San Pio V, il papa nativo della vicina Bosco Marengo, e le cappelle della bella chiesa tardo duecentesca, in cui si scopre, tra i capolavori, un grande Crocifisso ligneo del XV secolo. Tra i tesori della Quadreria si trova invece il ciclo di Stazioni della Via Crucis di Pietro Fancelli.
Il museo di Arte sacra è l'attrazione principale di un comune di poco meno di 3mila abitanti, che rientra, anche se in via marginale - fa parte della cosiddetta "buffer zone” – nel sito Langhe-Roero e Monferrato, dal 2014 nella lista del Patrimonio Mondiale Unesco. Di un turismo che ancora non decolla come si vorrebbe, nonostante le non poche bellezze artistiche e il paesaggio incantevole e incontaminato, parliamo con Giampiero Cassero, già assessore alla cultura e luogotenente dei carabinieri di Cassine, ora nel direttivo di Italia Nostra di Alessandria.
Giampiero Cassero, partiamo dal ritrovamento della tela rubata nel 1997. Come è andata?
"Guardi, siamo stati fortunati, perché i carabinieri di Venezia non solo hanno ritrovato la pala con la Natività del Battista, nel 2011, ma hanno anche svolto una approfondita ricerca iconografica sull'web, che non era scontata, e sono risaliti a noi.
Non succede sempre, talvolta i beni recuperati, se non si identificano i legittimi proprietari, e se lo Stato non li confisca perché di interesse conclamato, vengono mandati all'asta. I tempi della riconsegna sono stati lunghi, nel frattempo si è restaurata la cappella che ospitava il dipinto, ritornato ora al suo posto.
Purtroppo mancano ancora all'appello le altre opere trafugate, ma poiché l'indagine è ancora aperta, possiamo sperare di ricevere altre buone notizie. Le hanno prelevate tutte le pale, eccetto il quadro con San Martino, che è inchiodato al muro. Quella ricomparsa, a cui tra l'altro il Ministero dei beni culturali aveva apposto il vincolo, è la più pregiata: era stata oggetto di un recupero conservativo da parte del laboratorio Nicola di Aramengo, sotto la guida della Soprintendenza, poi chi ha commissionato il furto ha pensato bene di aggiungere delle integrazioni, per renderla più commerciabile, e così ci è stata riconsegnata".
Lei si riferiva a una ricerca iconografica: come hanno fatto a risalire alla chiesa di Cassine?
"Devo raccontarle un po' di questa storia e partire dal 1978, quando è nata l'associazione degli Amici di Cassine, di cui faccio parte dagli inizi. Allora abbiamo preso in mano il complesso, che era in stato di abbandono, fatta eccezione per alcune parti, tra cui la sala capitolare, utilizzate dalle scuole. La chiesa, dall'800 patrimonio del Comune, e la sacrestia erano invece adibite a vari scopi, anche a magazzini della Pro loco. Si decide di rivalorizzare il complesso e con questo intento parte una schedatura dei materiali conservati, che nel 1997 sarà inserita nel sito dell'amministrazione cittadina, dove i carabinieri di Venezia ritroveranno le notizie sulla tela rubata".
Il 1978 è dunque la data di inizio della rinascita del complesso. Poi che cosa è successo?
"Nel 1979 abbiamo ritrovato in modo fortuito in chiesa, nella cappella di Sant'Urbano, un corredo di reliquiari lignei arrivati a Cassine nel '700 con le spoglie del martire: se ne avevano alcune notizie da parte di storici dell'800, esistevano degli elenchi, ma poi della raccolta si erano perse le tracce. In quello stesso anno sono stati esposti qui a Cassine in una mostra promossa dall'associazione degli Amici e realizzata con la Soprintendenza. Negli anni Ottanta si decide poi di fare dell'antico complesso un museo e si iniziano i lavori, sostenuti dalla Regione, con Compagnia di San Paolo e Fondazione Crt. Ma non è stato facile."
In che senso?
"Si sono dovuti realizzare interventi strutturali, che presupponevano scelte tecniche complesse. Si è creato per esempio un vestibolo di accesso all'esterno, per non dovere aprire il muro con il rischio di danneggiare gli affreschi. Bisognava ogni volta mettere d'accordo il Comune, ovvero il committente che metteva i soldi, con la Soprintendenza e gli altri uffici. Poi però ce l'abbiamo fatta".
Chi tiene aperto il museo?
"Dapprima la gestione era affidata ai volontari dell'associazione, che si occupavano anche delle pulizie. Poi il Comune ha finanziato, attraverso una cooperativa, l'apertura pomeridiana in tutte le domeniche dell'anno. Si è creato alla fine un posto di lavoro, anche se con orario ridotto. Nel 2015 abbiamo avuto un migliaio di visitatori, tra quelli paganti che vanno direttamente al museo e chi invece entra solo in chiesa. La difficoltà vera però è la mancanza di visibilità".
Siete inseriti all'interno del MUD, il museo diffuso della Valle Bormida?
"Sì, ci siamo, ma non basta. Credo che si debba veramente imparare a fare rete: è una questione di mentalità, qui manca ancora una politica del turismo. Non ci sono strutture di accoglienza, nemmeno per gli escursionisti. Da queste parti prevale un turismo autonomo, da amatori, non da agenzia o da viaggi in pullman. Arriva la famiglia con la guida del Touring, oppure chi si organizza su internet e fa tappa qui, magari andando al mare in Liguria. Prevale insomma un turismo di passaggio".
Il turismo è percepito come una risorsa?
"Non direi, o per le meno non ancora: credo che resti molto lavoro da fare. Chi è nato qui preferisce in genere realizzare le cose in modo facile e subito, piuttosto che investire sul futuro. Le faccio un esempio: i ristoranti puntano sui pranzi per i matrimoni e le prime comunioni, se nel bel mezzo di un banchetto arrivano due persone che chiedono un tavolo, danno solo fastidio. Si deve puntare di più sulla comunicazione. Nell'alessandrino ci sono residenze notevoli di antiche famiglie liguri, da Palazzo Pallavicini a Mombaruzzo a Palazzo Spinola ad Arquata Scrivia: si parla tanto di itinerari tra le dimore antiche, penso al circuito delle regge sabaude, ma di queste, che pure sono vicine, qui si sa poco. Eppure sono risorse che andrebbero coltivate".
Ci sono progetti concreti per incentivare un turismo che stenta a partire?
"Progetti concreti per ora non ci sono, si è iniziato però a fare un serio discorso sull'incoming: si sta cercando di capire quali forme di imprenditorialità legate all'accoglienza poterebbero funzionare sul territorio. In realtà non esistono i pacchetti, nessuno li vende. Le agenzie di viaggio spediscono le persone alle Maldive, ma non promuovono il territorio dei vini. Mandano insomma le persone fuori, ma non si danno da fare perché arrivino qui. E' un peccato, perché nell'area, per esempio ad Acqui, ci sono i licei turistici: ma come li formiamo questi giovani? Insegniamo loro a promuovere i luoghi lontani da qui? Anche Italia nostra, in cui opero, riesce a fare poco: organizza itinerari, ma soprattutto di ambito locale Il problema è che qui non ci sono flussi turistici di massa e quindi nessuno è disposto a investire: non i grandi imprenditori, a cui evidentemente la nostra offerta non interessa. Latita il privato, ma anche il pubblico. Le pro loco in Trentino fanno miracoli, qui organizzano le sagre".
Vi ha recato vantaggi il fatto di essere in prossimità dei siti Unesco?
"C'è stato un grosso sforzo in questa direzione, ma per avere successo non basta essere in un territorio riconosciuto. È vero, noi siamo nella 'buffer zone', la cosiddetta zona tampone, rispetto ai siti principali: ma le Dolomiti sono patrimonio Unesco solo per quanto riguarda le cime delle montagne, eppure tutto quello che sta a al di sotto funziona molto bene. La sfida è fare valere questa certificazione, monetizzarla, anche se siamo nell'area marginale. Occorre riflettere per capire quali sono i punti di debolezza della nostra proposta. Né si può contare troppo sulle reti istituzionali, perché i sindaci e gli assessori sono costretti a occuparsi della quotidianità e il turismo, che non ha una ricaduta diretta, non è certo tra le priorità. Siamo una meta raggiungibile, ma manca qualcuno che ‘venda' il territorio: ma se non si crede al proprio territorio, è difficile 'venderlo'".
di Umberto Scaliti Del Carretto, chef del Ristorante "L'Aldilà", Mombaldone (trascrizione da intervista)
"Oggi prepariamo un piatto semplice e buono, fortemente legato al territorio. In una casseruola si fa appassire a fuoco dolce la cipolla, dopo aver fatto sciogliere una noce di burro e poco olio extra vergine di oliva. In precedenza è stato preparato un brodo a base vegetale con ossa di manzo bruciacchiate nel forno, fortemente aromatizzato con spezie, per ‘accompagnare' l'acidità del vino. Quando la cipolla è appassita si tosta leggermente il riso e si mescola con la spatola. A questo punto si aggiunge il vino, alzando leggermente il fuoco, e quindi il brodo. Le proporzioni sono 50% di vino, 50% di brodo. E' molto importante la qualità del vino con cui si prepara il risotto. Il riso va mantenuto umido, non deve mai asciugarsi in cottura, altrimenti il chicco si spacca. Quando inizia a formarsi un fondo di cottura più spesso e a legarsi l'amido, si introduce con la punta di un coltello da cucina una piccola quantità di spezie. Quando la cottura è terminata si aggiunge poi il pepe. In seguito si procede alla mantecatura con burro e parmigiano, mescolando delicatamente. Un altro segreto del risotto è toglierlo dal fuoco e non metterlo subito nei piatti. Facendo riposare la casseruola su una superficie fredda, per esempio in acciaio o marmo, si genera il ‘legaggio' del piatto. Dopo aver servito il risotto, si depone delicatamente una fettina di robiola a lato.
Il piatto è pronto. Buon appetito."
* La Robiola di Roccaverano è il formaggio tipico della nostra zona, un'eccellenza. Si tratta di un formaggio prodotto in gran parte con latte di capra e in minima parte di pecora.
Non si può descrivere a parole, bisogna assaggiarlo questo formaggio, che una legge della Comunità Europea voleva togliere dalla produzione, perché fatto a latte crudo. Per fortuna, dopo grandi battaglie, è stato salvato. Viene chiamato comunemente "formaggetta".
Posizioni, percorsi e indicazioni